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L’adozione e il dolore della perdita

La reazione di un bambino all’adozione può essere meglio capita se si intende come il riflesso di un dolore. L’esperienza della perdita porta al dolore, e questo comporta una serie complessa di emozioni e comportamenti. Il dolore non riconosciuto, non comunicato e irrisolto, che il bambino può provare, può dare luogo a passaggi all’atto ed essere scambiato per seri disturbi psichiatrici.

Spesso, bambini che presentano ansia o depressione stanno semplicemente sperimentando il dolore legato all’adozione ed alla sua difficile comprensione. Possono cominciare ad avvertire un senso di separazione da qualcuno che in realtà non hanno mai, o poco, conosciuto e questo li porta a sentirsi tristi, soli e in ansia. Il soggetto riconosce non solo di aver “perso” i propri genitori biologici e le origini ad essi legate, ma anche il bambino che sarebbe potuto diventare. Non di rado queste sensazioni rimangono celate agli altri, anche per non farli soffrire, e sono quindi più subdole. Provare dolore è normale, e non patologico, ma occorre normalizzarlo e facilitarne l’espressione.

Caratteristica di questa sofferenza è la sua unicità: si può manifestare con rabbia, tristezza, passaggi all’atto (comportamenti). Come dice Brodzinsky, non esiste un modo giusto o sbagliato per piangere e non c’è un calendario preciso per stare male.

La perdita

Questo senso di perdita ha una natura multidimensionale, deriva da vari fattori e sensazioni. La perdita dei genitori di nascita o dell’intera famiglia è la prima, ma non è l’unica: pensiamo ai bambini che hanno passato lunghi periodi negli istituti, hanno detto addio anche alle figure che in quel luogo sono state per loro protettive e accudenti. La perdita delle origini biologiche, etniche, di razza, culturali. La perdita di status, anche all’interno del gruppo dei pari, quando riconoscono che i loro coetanei potrebbero avere dei pregiudizi sull’adozione o su di loro in quanto adottati. La perdita della stabilità emotiva, della privacy o della stessa identità. Se parliamo poi nello specifico di un’adozione internazionale, questa perdita si amplifica e ci troviamo di fronte bambini che arrivano da terre lontane e da universi sensoriali completamente differenti: pensiamo per esempio agli odori, alle luci, ai colori, all’atmosfera, ai movimenti, al suono della lingua…caratteristiche che permeano tutta la realtà che li circonda. Per alcuni queste differenze, che non sono solo comportamentali o caratteriali, ma anche fisiche, possono risultare inquietanti e dare adito a confusione e smarrimento, ma se i genitori adottivi offrono messaggi positivi rispetto al patrimonio delle loro origini, riescono generalmente ad integrare questo aspetto in un’identità sana e sicura.

L’atteggiamento dei genitori

L’atteggiamento dei genitori è uno snodo cruciale, accompagnare nel percorso di appartenenza è fondamentale. La costruzione della genitorialità adottiva è un processo che va oltre l’evento in sé. Come la coppia affronta questa complessa e delicata transizione dipende da un intreccio di molteplici variabili. La sfida consiste essenzialmente nel costruire un legame genitoriale, un patto genitoriale, in assenza di un legame di consanguineità e della condivisione di una parte significativa di storia (Bramanti, 2003). La costruzione di tale patto incontra il suo snodo critico nelle modalità con cui le generazioni coinvolte trattano i temi della differenza e della reciproca appartenenza.

Differenze etniche

Come detto, nel caso dell’adozione e, in particolare, dell’adozione internazionale, accanto alla differenza di genere e di generazione, vi è anche quella di stirpe, data da caratteri genetici, ma anche di etnia, cioè di tradizioni, valori, classe sociale, religione e razza. Se nelle famiglie biologiche tale diversità si gioca all’interno del legame coniugale, nelle famiglie adottive questa riguarda anche l’asse genitori-figli. La sfida è, infatti, quella di fare di un bambino, geneticamente, e spesso anche etnicamente diverso, un figlio proprio, senza per questo annullare la differenza. Normalizzare la diversità è fondamentale, ma questo non significa negarla. Non a caso il tema della differenza-somiglianza è cruciale nelle dinamiche familiari adottive. Le famiglie adottive possono utilizzare diverse strategie di coping per affrontare questo tema, tutte riconducibili ad un continuum che va dal rifiuto all’insistenza sulla differenza (Brodzinsky, Schechter, 2000).

  • Nel primo caso la differenza viene bandita dalla famiglia e fortemente negata. L’evento adottivo è tenuto presente, ma in buona parte caratterizzato dall’alto grado di sentimenti negativi relativi alla differente appartenenza. Le differenze sono riconosciute, ma subito “messe tra parentesi”, nel tentativo dei genitori di assomigliare il più possibile alle famiglie biologiche. L’adozione è considerata in queste famiglie un fatto fisiologico ed è equiparata alla nascita; dunque, l’operazione che si compie è quella di assimilare il figlio adottivo al figlio biologico, cercando di negare tutto ciò che in qualche modo richiama la differenza di origini. Il figlio da parte sua collabora al patto cercando di tacitare a sua volta la differenza di origine e proponendosi totalmente come figlio di quella famiglia, adeguandosi passivamente ai modelli familiari imposti e ignorando così il sentimento di perdita che ne deriva.
  • Nel caso dell’insistenza sulla differenza, le famiglie manifestano la tendenza a ricondurre all’origine adottiva tutte le difficoltà e i problemi che via via sorgono nel rapporto genitori-figli. Il figlio è vissuto sostanzialmente come un estraneo e gli aspetti negativi del suo comportamento sono imputati alle sue origini. Da parte sua il figlio conferma la sua estraneità alla famiglia (Bramanti, Rosnati, 1998).

Al centro del continuum vi è il riconoscimento delle differenze, che si fonda sull’accettazione delle stesse reinterpretate all’interno della storia familiare, e la ricerca delle somiglianze, cioè la scoperta di tratti caratteriali, abitudini ed interessi che si possono avere in comune. Più che condizioni statiche queste sono posizioni attraverso le quali genitori e figli transitano più volte, alla ricerca di un funzionale equilibrio personale e familiare. Si tratta di famiglie in cui si respira una certa libertà, non solo nel ripercorrere la storia dell’adozione, ma anche nell’esplicitare i sentimenti, positivi e negativi, ad essa connessi. In questa situazione il figlio, supportato dai genitori, riesce a mettere insieme i pezzi del puzzle e a dare un senso alla sua storia, facendo un faticoso cammino di riappropriazione delle proprie origini, di accettazione dell’abbandono che ha segnato la sua vita, e di traduzione in parole del dolore della perdita che prova. Questi sono presupposti fondamentali per assolvere il principale compito evolutivo della fase adolescenziale, cioè la costruzione dell’identità personale.

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