Salute Psicologica

Sindrome da Burn-out: quando il lavoro fa ammalare

È opinione comune che quanto più si apprezza il proprio lavoro, tanto più lo si affronta con dedizione, passione e positività. Alzarsi la mattina e sapere che si trascorrerà buona parte della propria giornata coinvolti in un’attività professionale appagante e stimolante è uno dei desideri più diffusi tra le persone: trovare la propria strada e percorrerla con ottimismo e benessere.

La realtà dei fatti è purtroppo talvolta assai diversa e moltissime persone soffrono un profondo stress sul luogo di lavoro. Attenzione, questo non vuol dire necessariamente che abbiano scelto la professione sbagliata o che lavorino in un posto terribile e disumano: lo stress legato al lavoro ha numerose sfaccettature che, se non adeguatamente intercettate, possono condurre l’individuo a sviluppare la cosiddetta sindrome da burn-out, ossia uno stato di esaurimento psicofisico grave che porta l’individuo a distaccarsi emotivamente da se stesso, dai colleghi e dal proprio lavoro, fino a sviluppare sintomi fisici o una vera e propria psicopatologia.

Ma quali sono i campanelli di allarme che possono farci capire che stiamo per sviluppare la sindrome da burn-out? E ancora, quali sono le caratteristiche personali e ambientali che possono aggravare il normale e fisiologico stress lavorativo, fino a trasformarlo in una sindrome più complessa e patologica?

Per rispondere a queste domande è necessario prendere in esame i tre temi caldi del burn-out:

la persona, l’ambiente, il lavoro.

  • La persona. È appurato che determinate caratteristiche personali possono aumentare la possibilità di sviluppare un cattivo rapporto con il proprio lavoro, alimentando notevolmente i livelli di stress. In particolare, le persone che faticano nelle relazioni interpersonali, che hanno elevati livelli di competitività, che si pongono degli obbiettivi rigidi e talvolta molto ardui da raggiungere o che vivono il proprio lavoro come unica via di realizzazione personale sono certamente più predisposte a soffrire dello stress lavorativo. Tuttavia, non per questo sono destinati a sviluppare la sindrome da burn-out.
  • L’ambiente. Nei racconti di qualsiasi lavoratore, il clima e l’ambiente lavorativo fanno senza dubbio la differenza nei livelli di stress percepito. Anche i lavori più stressanti e faticosi, se condotti all’interno di una realtà inclusiva, sensibile, attenta ai bisogni umani ed emotivi di ciascun individuo, aperta alla comunicazione interna e disponibile a un’organizzazione del lavoro orizzontale, possono essere svolti senza il rischio di una sindrome da burn-out. Tutt’altra faccenda se invece i lavoratori si trovano a vivere in contesti dove si percepisce scarso supporto sociale da colleghi e superiori, rigidità, comunicazione inefficace, ritmi di lavoro serrati e dinamiche totalmente verticali nelle quali la piramide aziendale schiaccia i bisogni dei singoli. In questi casi, la probabilità di sentirsi svuotati, distaccati, insensibili al proprio lavoro e incapaci di recuperare le energie aumenta notevolmente.
  • Il lavoro. Ci sono professioni che sono naturalmente legate a livelli di stress maggiori. Le professioni di cura (infermieri, medici, insegnanti, educatori, operatori dell’infanzia, assistenti sociali, vigili del fuoco, ecc), i mestieri con alti livelli di interazione con il pubblico (commessi, addetti agli sportelli, call-center, ecc) e quelli con elevata ripetitività (operai, impiegati, lavori altamente specialistici). A questi vanno aggiunti tutti quei lavori che comportano elevate responsabilità professionali (avvocati, medici, manager, ecc).

Come abbiamo visto il burn-out, in quanto sindrome, è sostenuto da diversi fattori personali, ambientali e lavorativi che in interazione tra loro possono condurre l’individuo a uno stato di sfinimento ed esaurimento psicofisico, caratterizzato da

  • sintomi psicosomatici: cefalee, problemi di sonno, dolori fisici di varia entità, stanchezza cronica, difficoltà nel recupero delle energie;
  • sintomi psicologici: ansia, depressione, attacchi di panico, demotivazione, distacco emotivo, rabbia intensa, cinismo, aggressività, abuso di sostanze;
  • sintomi relazionali: tendenza all’isolamento, difficoltà relazionali, peggioramento delle relazioni familiari e amicali.

Che cosa si può fare per evitare questa sindrome, o per curarla laddove si creda di soffrirne?

Dal punto di vista psicologico e personale, richiedere un supporto professionale può essere di grande aiuto per costruire una maggior consapevolezza dei fattori scatenanti e aggravanti e per rielaborare e gestire al meglio i sintomi e le difficoltà quotidiane. Soprattutto laddove si sia instaurata una vera e propria psicopatologia, quindi ad esempio fenomeni ansiosi, depressivi, attacchi di panico, somatizzazioni, difficoltà relazionali e familiari, l’aiuto di un professionista può fare la differenza.

Allo stesso tempo, è necessario ed auspicabile riattivare un’adeguata comunicazione con gli attori in gioco, così come ricostruire un senso di auto efficacia personale attraverso la quale l’individuo possa sentirsi competente e attrezzato nell’affrontare lo stress lavorativo.

Infine, anche dal punto di vista del welfare aziendale, è necessario introdurre misure che siano sensibili e adeguate a contenere e supportare i bisogni emotivi e psicologici del capitale umano.

Anche in questo caso, il burn-out si previene e si combatte attraverso uno spettro di azioni mirate a sostenere il benessere dei lavoratori, intesi questi ultimi come individui nella loro totalità psicologica ed emotiva e portatori del diritto di fare del proprio lavoro un obiettivo di soddisfazione personale.

Dott.ssa Alice Aceto, psicologa e psicoterapeuta del team Mama Chat

Articoli recenti

Sostienici, ogni donazione per noi è importante