Salute Psicologica

Una riflessione sugli aspetti psicologici nella comunicazione medico-paziente

“Dottoressa ho fatto una visita con la nuova dottoressa di base, dopo aver visto che i miei esami erano nella norma mi ha guardata e detto: dovresti dimagrire!”

Inizia così il colloquio con Anna (nome di fantasia), una giovane donna che ha intrapreso un percorso psicoterapeutico dopo anni di difficoltà con il proprio corpo e peso.

“In quel frangente mi sono resa conto di quanto la terapia mi abbia aiutato in questa parte della mia vita, qualche mese fa una frase simile mi avrebbe buttata giù di morale, fatto entrare in uno spirale di autocritica e colpa e probabilmente spinta ad abbuffare; ora ci ho fatto caso ma non mi ha abbattuta, mi ha fatto arrabbiare, vorrei che ci fosse più tatto nel parlare di peso e corpo, vorrei proteggere tutte le altre persone che da anni lottano con un disturbo alimentare”.

Ha ragione. La comunicazione tra il medico e il paziente è una parte fondamentale dell’assistenza sanitaria. Non si tratta solo di condividere informazioni mediche, è anche una forma complessa di scambio emotivo e psicologico. Gli aspetti psicologici della comunicazione medico-paziente giocano un ruolo fondamentale nel garantire un’assistenza sanitaria efficace, comprensiva e centrata sul paziente e nei casi di disturbi alimentari rivestono un’importanza cruciale, poiché possono avere un impatto significativo sulla diagnosi, il trattamento e la guarigione. Ricordiamo infatti che, i disturbi alimentari, come l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e la binge eating disorder (per citarne i più famosi), sono condizioni complesse e coinvolgono non solo l’aspetto fisico, ma anche il benessere emotivo e psicologico delle persone, e spesso non sono visibili dall’esterno. Ad esempio, una persona con la bulimia può essere in normopeso, un aumento o diminuzione del peso non sono sinonimi di guarigione in nessuna diagnosi, se non accanto ad una consapevolezza e cambiamento a livello psicologico.

Gli aspetti chiave della comunicazione medico-paziente

Il modo con cui si comunica ha un impatto sull’altra persona. Chi soffre di un disturbo alimentare spesso lotta con sentimenti di vergogna, colpa, isolamento. Gli operatori sanitari dovrebbero cercare di creare un ambiente accogliente per far sentire più a loro agio le persone nell’aprirsi e raccontare di sé. Comprendo quindi che Anna per vari motivi non ha raccontato subito alla nuova dottoressa la sua storia clinica completa, ma porre domande aperte, essere curiosi della vita di chi si ha di fronte, può agevolarne l’apertura. Anna ha infatti riconosciuto che se la dottoressa al posto che porle una doverizzazione “devi dimagrire” (ben presente nei disturbi alimentari e aspetto caro a noi terapeuti cognitivi), le avesse chiesto il suo rapporto e abitudini alimentari, si sarebbe sentita più accolta e compresa. Non è facile e scontato per chi ha un binge eating disorder perdere qualche kg. Prevede anzi un percorso per distruggere regole autoimposte, modifiche al proprio modo di valutarsi, e una migliore gestione della propria emotività.

La comunicazione dovrebbe essere sensibile e rispettosa, senza mai scatenare una sensazione di colpa o di vergogna.

Mi auguro quindi che tutti i colleghi sanitari stiano più attenti nelle loro comunicazioni, anche le frasi dette con le migliori intenzioni possono infatti sortire qualche effetto negativo. E a tutte le “Anna” invito a condividere con i propri curanti i propri vissuti, siamo tutti umani e possiamo sbagliare, specialmente inconsapevolmente, ma la vostra parola può aiutarci a diventare dei migliori clinici.

Margherita Hassan, psicologa psicoterapeuta del team Mama Chat

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